L’Italia dice addio a uno dei suoi giganti della fotografia. Gianni Berengo Gardin, il maestro indiscusso del reportage italiano e cronista visivo del Novecento, si è spento il 6 gennaio 2025 a Milano all’età di 94 anni. La sua scomparsa segna la fine di un’epoca per la fotografia documentaria italiana, lasciando dietro di sé un’eredità di oltre settant’anni di storia nazionale immortalata attraverso il suo obiettivo.
Nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930, Berengo Gardin ha saputo trasformare la sua passione per la fotografia in bianco e nero in una missione di vita. Il fotografo genovese ha raccontato l’Italia che cambiava con uno sguardo unico, diventando il punto di riferimento per il fotogiornalismo documentario nazionale e internazionale.
Gianni Berengo Gardin: dai primi passi alla consacrazione
Cresciuto a Venezia, Gianni Berengo Gardin non aveva iniziato con l’ambizione di diventare il cronista visivo più importante del nostro Paese. Da autodidotta, si era avvicinato alla fotografia negli anni Cinquanta quasi per caso, ma con quella curiosità genuina che poi avrebbe caratterizzato tutta la sua opera. Il giovane fotografo veneziano iniziò a sperimentare con la sua prima macchina fotografica, sviluppando quello stile inconfondibile che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo.
Il salto di qualità arriva negli anni Sessanta, quando abbandona definitivamente l’approccio amatoriale per tuffarsi nel fotogiornalismo professionale. Il trasferimento a Milano nel 1965 segna l’inizio di una carriera straordinaria che lo porterà a collaborare con le più prestigiose testate italiane e internazionali: “Il Mondo”, “Domus”, “Epoca”, “L’Espresso”, ma anche “Le Figaro” e “Time”.
La fotografia documentaria di Berengo Gardin: tecnica e umanità
Quello che ha reso Berengo Gardin un fotografo straordinario non è stata solo la sua tecnica impeccabile, sempre rigorosamente in bianco e nero e con stampe tradizionali senza alterazioni digitali, ma soprattutto il suo approccio profondamente umano alla fotografia. Si definiva un “artigiano dell’immagine”, lontano da vezzi artistici autoreferenziali, ma sempre vicino alle storie delle persone comuni.
I suoi reportage sui manicomi italiani, realizzati nel periodo delle riforme di Franco Basaglia, restano tra le testimonianze più potenti e necessarie della fotografia documentaria italiana. Con la sua fedele Leica, Berengo Gardin è riuscito a catturare non solo la sofferenza, ma anche la dignità umana in contesti spesso dimenticati dalla società. Questi scatti rappresentano un capitolo fondamentale della storia sociale italiana, documentando un momento di profonda trasformazione culturale.
Venezia e Milano attraverso l’obiettivo del maestro
Impossibile parlare di Gianni Berengo Gardin senza citare il suo rapporto viscerale con Venezia. Le sue immagini della Serenissima, come l’iconico “Vaporetto, Venezia, 1960”, hanno saputo andare oltre la cartolina turistica per restituire l’anima autentica di una città in equilibrio precario tra passato e presente. Il fotografo veneziano ha immortalato la vita quotidiana della sua città natale con una sensibilità unica, mostrando scorci inediti e momenti di vita vera.
Ma Berengo Gardin non si è limitato a essere il poeta visivo di Venezia. Il suo obiettivo ha attraversato l’Italia dal Nord al Sud, documentando le trasformazioni sociali del boom economico, il mondo del lavoro, l’architettura che cambiava, la vita quotidiana di un Paese che correva verso la modernità senza dimenticare le proprie radici. Milano, in particolare, è diventata la sua seconda casa artistica, teatro di alcuni dei suoi reportage più significativi.
L’eredità del fotogiornalista che ha cambiato la storia
Fino agli ultimi mesi, Gianni Berengo Gardin è rimasto una figura centrale della scena culturale italiana. Le sue battaglie civili, come quella contro le grandi navi da crociera a Venezia, dimostravano come la sua fotografia non fosse mai stata solo contemplazione estetica, ma sempre impegno sociale concreto. Il maestro della fotografia italiana ha utilizzato le sue immagini come strumento di denuncia e sensibilizzazione, mantenendo sempre viva la vocazione sociale del suo lavoro.
Con oltre 260 libri fotografici pubblicati e circa 360 mostre personali tra Italia e estero, i numeri della sua produzione impressionano, ma è la qualità del suo sguardo che ha fatto davvero la differenza. Influenzato da Henri Cartier-Bresson ma capace di sviluppare una poetica personalissima, Berengo Gardin ha saputo essere contemporaneamente cronista e poeta, documentarista e umanista, lasciando un segno indelebile nella storia della fotografia italiana.
Perché Gianni Berengo Gardin resta immortale
La scomparsa del grande fotografo italiano rappresenta non solo la perdita di un maestro, ma anche la fine di un modo di fare fotografia. In un’epoca dominata dai filtri digitali e dalle immagini effimere dei social media, la sua morte ci ricorda il valore di una fotografia che sapeva fermare il tempo per raccontare verità profonde e universali.
Le istituzioni culturali, dal Ministero della Cultura alle principali testate giornalistiche, stanno rendendo omaggio a un maestro che ha saputo elevare il reportage fotografico a forma d’arte senza mai tradire la propria vocazione documentaria. Le sue immagini continuano a parlare con una forza emotiva intatta, testimoniando la grandezza di un artista che ha dedicato la vita a raccontare il mondo con occhi sinceri.
Con la scomparsa di Gianni Berengo Gardin, l’Italia perde non solo un grande fotografo, ma un testimone insostituibile della propria storia recente. Il suo archivio visivo resta la migliore risposta a chi si chiede come eravamo, come siamo diventati quello che siamo oggi. Un’eredità preziosa che continuerà a far riflettere e emozionare le generazioni future, mantenendo viva la memoria di un’Italia autentica e profondamente umana.
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